Affresco recuperato nel convento dei Cappuccini: la lettura storica del professor Pice
Forse realizzato nel 1627, raffigura San Francesco d'Assisi con i tre più anziani frati bitontini
giovedì 25 gennaio 2018
11.15
L'antico affresco di San Francesco d'Assisi nel convento dei Cappuccini di Bitonto, ritornato al suo originale splendore dopo il restauro voluto dalla parrocchia, adesso ha anche una prima lettura storica e compositiva. Il merito è del professor Nicola Pice, fine conoscitore della storia locale, membro del Centro Ricerche di Storia e Arte – Bitonto e presidente della Fondazione De Palo-Ungaro che ha seguito le fasi del recupero conservativo del dipinto, per tentare di leggerne e interpretarne tutti i contenuti.
La redazione di BitontoViva ha deciso di fornire ai suoi lettori questo contributo in forma integrale.
«L'affresco recentemente restaurato nel convento dei Cappuccini riporta al di sotto della cornice di bordo due versetti tratti dal vangelo di Marco, cap. 16, 15-16 "Euntes (in mundum universum,) praedicate Evangelium (omni creaturae. Qui crediderit et baptizatus fuerit, salvus erit; qui vero non crediderit, condemnabitur)", "Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato". I versetti, di cui si sono salvate solo le parole non in parentesi, riconducono alla apparizione di Gesù agli undici apostoli, ancora increduli della sua resurrezione, invitandoli ad andare per le vie del mondo a predicare la lieta novella. L'affresco ha San Francesco posto in risalto in mezzo ai Cappuccini: Francesco, ovvero l'alter Christus. Egli veste l'abito dei cappuccini (cappuccio unito all'abito, senza cocolla, appuntito, triangolare, cingolo, barba incolta) e sorregge il vangelo con la mano sinistra, nell'atto di proteggere con la sua destra l'anziano padre cappuccino, prostrato ai suoi piedi. Il tema dell'affresco sembra, dunque, voler esprimere la spinta evangelizzatrice del Santo di Assisi e dei Cappuccini oltre la vita austera dei frati. In alto, al di sopra di una nuvola, la "purissima Virgo" con il Bambino seduto sulle ginocchia, espressione della devozione per la Vergine Maria, come da tradizione propria dei Cappuccini, peraltro attestata anche sulla parete interna tra la cucina e il refettorio. Sono portato a credere che intorno al Santo sia raffigurata la triade dei più anziani padri Cappuccini bitontini, che furono fortemente animati dal fervore degli inizi del nuovo ordine e testimoni di vita evangelica francescanamente intesa: padre Girolamo, che eccelse per santità, dottrina e zelo; padre Francesco, noto per la sua esemplarità e morto in odore di santità nel 1580 lo stesso anno di padre Girolamo; padre Giovanni, morto nel 1591 dopo sessant'anni di vita religiosa profusa nello sforzo di predicare agli umili il lieto annunzio della salvezza. All'estrema destra un cappuccino più giovane, l'unico ad avere lo sguardo rivolto verso chi osserva l'affresco, cosa che fa presupporre che sia proprio l'autore del dipinto. Disposti a coppie gli altri frati sul lato sinistro: uno che versa l'acqua da una bottiglia in una borraccia per il frate che ha in mano un libello, in procinto di intraprendere la sua funzione di predicatore; due frati, uno, accovacciato per terra nell'atto di sistemarsi i sandali, l'altro in piedi incappucciato con la bisaccia sulle spalle pronto ad avviare la sua azione di umile mendicante che s'aggira per il paese di porta in porta; accanto alla chiesa in lontananza, e come in penombra, altri due frati. Vale la pena ricordare che i primi Cappuccini avvertirono molto la necessità di evangelizzazione del popolo, specialmente i semplici, i culturalmente deboli, i contadini, gli artigiani. Molti di essi, muniti di crocifisso e di un campanello, chiamavano a raccolta la gente disponibile e predicavano il vangelo. Questo in assonanza con il vescovo Cornelio Musso che, venuto a Bitonto nel 1548 dopo il Concilio di Trento, da buon francescano e buon riformatore era convinto che l'unico modo per riformare i costumi del popolo e del clero era la testimonianza personale di un modo di vivere evangelico. La loro vita semplice e povera era condotta nel piccolo convento situato appena fuori ("infra miliare") dal centro abitato, là dove sorgeva una cappella rurale dedicata a San Vincenzo martire, lungo la fascia settentrionale del vallone del Tifre. "L'austerità della vita tutta permeata di silenzio, preghiera e lavoro, la penitenza continua, la sobrietà nel cibo e la povertà delle abitazioni, la predicazione popolare con stile caratterizzato da semplicità, concretezza e fervore mistico creavano attorno ai primi Cappuccini un fascino particolare" scrive padre Rosario Amico in un bel libro dedicato alla presenza dei Cappuccini a Bitonto. Il loro zelante apostolato era fatto in primo luogo col buon esempio dei tanti "frati questuanti", così familiari anche tra i contadini delle nostre campagne fino a pochi anni fa. La vicinanza affettuosa alla gente umile delle città e delle campagne nelle prove personali e nelle pubbliche calamità rendeva i Cappuccini come "i frati del popolo". A Bitonto il primitivo convento, di dimensioni ridotte, fu fondato nel 1548 da fra Giacomo da Molfetta; l'annessa chiesa, dedicata a San Vincenzo, fu consacrata nel 1589 dal vescovo Fortinguerra; nel 1606 si decise di procedere all'ampliamento del convento e l'anno dopo si realizzava la grande strada che dal convento portava in città, superando così l'angustia della antica strada sassosa e tortuosa. Nel 1612 il convento assumeva la sua forma definitiva, garantendo una ospitalità più recettiva per i padri cappuccini (oltre una ventina di celle), tant'è che dal 1816 sino al 1866 per la ricchezza del suo patrimonio librario (circa 900 volumi) divenne un luogo di formazione per i chierici di Teologia e di Filosofia, sino a quando si lasciò libero il convento perché l'occupassero i garibaldini. Fu subito dopo che il convento fu soppresso e passò al demanio dello Stato, per essere poi ceduto al Comune per farne un asilo di mendicità. Un'ultima considerazione. L'affresco chiude la parete estrema del refettorio, situato al piano terra del Convento, nel rispetto del modello previsto dalle antiche Costituzioni dei Cappuccini (l'altezza del piano non doveva oltrepassare tredici palmi) e accanto alle altre cosi dette officine, cioè la cucina, la credenza dei generi alimentari, il parlatorio, la foresteria e la sala della fraternità, mentre le celle si aprivano sui quattro corridoi del piano superiore in uno alla biblioteca e all'infermeria. La porta del refettorio porta l'incisione della data 1553, ma si tratta di una incisione propria dell'architrave della porta d'ingresso, poi traslocata sulla suddetta porta. Il refettorio, realizzato nell'ambito dell'ampliamento del convento, è completato nel 1627, anno in cui si murò la cucina. Chissà se l'affresco non debba essere ricondotto a questo tempo».
La redazione di BitontoViva ha deciso di fornire ai suoi lettori questo contributo in forma integrale.
«L'affresco recentemente restaurato nel convento dei Cappuccini riporta al di sotto della cornice di bordo due versetti tratti dal vangelo di Marco, cap. 16, 15-16 "Euntes (in mundum universum,) praedicate Evangelium (omni creaturae. Qui crediderit et baptizatus fuerit, salvus erit; qui vero non crediderit, condemnabitur)", "Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato". I versetti, di cui si sono salvate solo le parole non in parentesi, riconducono alla apparizione di Gesù agli undici apostoli, ancora increduli della sua resurrezione, invitandoli ad andare per le vie del mondo a predicare la lieta novella. L'affresco ha San Francesco posto in risalto in mezzo ai Cappuccini: Francesco, ovvero l'alter Christus. Egli veste l'abito dei cappuccini (cappuccio unito all'abito, senza cocolla, appuntito, triangolare, cingolo, barba incolta) e sorregge il vangelo con la mano sinistra, nell'atto di proteggere con la sua destra l'anziano padre cappuccino, prostrato ai suoi piedi. Il tema dell'affresco sembra, dunque, voler esprimere la spinta evangelizzatrice del Santo di Assisi e dei Cappuccini oltre la vita austera dei frati. In alto, al di sopra di una nuvola, la "purissima Virgo" con il Bambino seduto sulle ginocchia, espressione della devozione per la Vergine Maria, come da tradizione propria dei Cappuccini, peraltro attestata anche sulla parete interna tra la cucina e il refettorio. Sono portato a credere che intorno al Santo sia raffigurata la triade dei più anziani padri Cappuccini bitontini, che furono fortemente animati dal fervore degli inizi del nuovo ordine e testimoni di vita evangelica francescanamente intesa: padre Girolamo, che eccelse per santità, dottrina e zelo; padre Francesco, noto per la sua esemplarità e morto in odore di santità nel 1580 lo stesso anno di padre Girolamo; padre Giovanni, morto nel 1591 dopo sessant'anni di vita religiosa profusa nello sforzo di predicare agli umili il lieto annunzio della salvezza. All'estrema destra un cappuccino più giovane, l'unico ad avere lo sguardo rivolto verso chi osserva l'affresco, cosa che fa presupporre che sia proprio l'autore del dipinto. Disposti a coppie gli altri frati sul lato sinistro: uno che versa l'acqua da una bottiglia in una borraccia per il frate che ha in mano un libello, in procinto di intraprendere la sua funzione di predicatore; due frati, uno, accovacciato per terra nell'atto di sistemarsi i sandali, l'altro in piedi incappucciato con la bisaccia sulle spalle pronto ad avviare la sua azione di umile mendicante che s'aggira per il paese di porta in porta; accanto alla chiesa in lontananza, e come in penombra, altri due frati. Vale la pena ricordare che i primi Cappuccini avvertirono molto la necessità di evangelizzazione del popolo, specialmente i semplici, i culturalmente deboli, i contadini, gli artigiani. Molti di essi, muniti di crocifisso e di un campanello, chiamavano a raccolta la gente disponibile e predicavano il vangelo. Questo in assonanza con il vescovo Cornelio Musso che, venuto a Bitonto nel 1548 dopo il Concilio di Trento, da buon francescano e buon riformatore era convinto che l'unico modo per riformare i costumi del popolo e del clero era la testimonianza personale di un modo di vivere evangelico. La loro vita semplice e povera era condotta nel piccolo convento situato appena fuori ("infra miliare") dal centro abitato, là dove sorgeva una cappella rurale dedicata a San Vincenzo martire, lungo la fascia settentrionale del vallone del Tifre. "L'austerità della vita tutta permeata di silenzio, preghiera e lavoro, la penitenza continua, la sobrietà nel cibo e la povertà delle abitazioni, la predicazione popolare con stile caratterizzato da semplicità, concretezza e fervore mistico creavano attorno ai primi Cappuccini un fascino particolare" scrive padre Rosario Amico in un bel libro dedicato alla presenza dei Cappuccini a Bitonto. Il loro zelante apostolato era fatto in primo luogo col buon esempio dei tanti "frati questuanti", così familiari anche tra i contadini delle nostre campagne fino a pochi anni fa. La vicinanza affettuosa alla gente umile delle città e delle campagne nelle prove personali e nelle pubbliche calamità rendeva i Cappuccini come "i frati del popolo". A Bitonto il primitivo convento, di dimensioni ridotte, fu fondato nel 1548 da fra Giacomo da Molfetta; l'annessa chiesa, dedicata a San Vincenzo, fu consacrata nel 1589 dal vescovo Fortinguerra; nel 1606 si decise di procedere all'ampliamento del convento e l'anno dopo si realizzava la grande strada che dal convento portava in città, superando così l'angustia della antica strada sassosa e tortuosa. Nel 1612 il convento assumeva la sua forma definitiva, garantendo una ospitalità più recettiva per i padri cappuccini (oltre una ventina di celle), tant'è che dal 1816 sino al 1866 per la ricchezza del suo patrimonio librario (circa 900 volumi) divenne un luogo di formazione per i chierici di Teologia e di Filosofia, sino a quando si lasciò libero il convento perché l'occupassero i garibaldini. Fu subito dopo che il convento fu soppresso e passò al demanio dello Stato, per essere poi ceduto al Comune per farne un asilo di mendicità. Un'ultima considerazione. L'affresco chiude la parete estrema del refettorio, situato al piano terra del Convento, nel rispetto del modello previsto dalle antiche Costituzioni dei Cappuccini (l'altezza del piano non doveva oltrepassare tredici palmi) e accanto alle altre cosi dette officine, cioè la cucina, la credenza dei generi alimentari, il parlatorio, la foresteria e la sala della fraternità, mentre le celle si aprivano sui quattro corridoi del piano superiore in uno alla biblioteca e all'infermeria. La porta del refettorio porta l'incisione della data 1553, ma si tratta di una incisione propria dell'architrave della porta d'ingresso, poi traslocata sulla suddetta porta. Il refettorio, realizzato nell'ambito dell'ampliamento del convento, è completato nel 1627, anno in cui si murò la cucina. Chissà se l'affresco non debba essere ricondotto a questo tempo».