Condannato a 18 anni l'assassino di Mariagrazia Cutrone. Il CAV: «È giustizia giusta?»
La responsabile del Centro Anti Violenza di Bitonto, Anna De Vanna: «Nessuna condanna restituisce il diritto alla vita. Serve prevenzione»
martedì 7 maggio 2019
10.27
La condanna a 18 anni in primo grado dell'assassino di Mariagrazia Cutrone, la 29enne uccisa a coltellate a Bitonto dal marito Mustafà Oueslati il 3 novembre del 2016, rende forse una giustizia processuale ma resta un'ingiustizia davanti al diritto alla vita della povera donna. Questo, in estrema sintesi, il messaggio di Anna Coppola De Vanna, presidente della Cooperativa CRISI che gestisce il Centro Anti Violenza di Bitonto-Palo del Colle, dedicato proprio alla ragazza uccisa, dopo la decisione dei giudici sul caso di femminicidio che aveva scosso tutta la comunità bitontina.
«C'è una targa proprio accanto all'ingresso della stanza utilizzata dal Centro Antiviolenza di Bitonto – si legge in una nota della presidente - dedicata a Mariagrazia Cutrone. È lì da tempo, incardinata nella storia del Centro a tutela delle donne vittime di violenza, quasi a sostenerne e rafforzarne l'impegno. Oggi ha catturato in maniera diversa il mio sguardo, perché oggi si è avuta notizia della condanna dell'autore del suo assassinio a 18 anni di detenzione».
All'uomo - che, dopo anni di violenze, aveva ucciso la moglie con 10 coltellate nella casa della suocera davanti al figlio di appena 3 anni per aver scoperto una presunta relazione extraconiugale della donna esasperata dai continui maltrattamenti - non sono state riconosciute le condizioni per applicare le attenuanti della cosiddetta "tempesta emotiva", l'ordinamento giurisprudenziale che mira a ridurre le pene nel caso in cui venga riconosciuto il ruolo provocatore dell'ambiente circostante e rischia quindi ancora l'ergastolo.
«Nei commenti dei più – scrive però Anna De Vanna - la frase abusata: "giustizia è fatta". Nei miei dolenti pensieri sulla tragedia, una domanda: "È questa una giustizia giusta?". Sul piano processuale, forse. Ma basterà a riparare il sentimento generale di ingiustizia di fronte ad una giovane vita spezzata così ingiustamente ? Rispetto allo strazio che ancora si legge negli occhi di una madre per la perdita della figlia? Nei confronti di innocenti bambini crudelmente strappati all'affetto e al legame materno? Evidentemente nessuna condanna, per quanto severa e giusta, potrà ripristinare il diritto alla vita e alla tenuta dei legami».
La soluzione, allora, sta forse da un'altra parte. «Rispetto a questa assurda ineluttabilità – spiega la responsabile del Centro - un solo monito: siamo tutti chiamati a combattere la violenza in tutti i modi e in qualsiasi luogo si manifesti. Per noi che quotidianamente incrociamo storie drammatiche di violenza di genere, un richiamo forte a costruire sistemi di tutela rafforzati attraverso il coinvolgimento di tutte le risorse del territorio, ma soprattutto a precocizzare azioni di sensibilizzazione rivolte ai più giovani in vista di un cambiamento culturale a fondamento di una qualità più "giusta"dei legami. Perché una targa, per quanto pensata e dedicata per rispettare il dolore e tenere vivi i ricordi, segnala brutalmente un'assenza nell'intera comunità».
«C'è una targa proprio accanto all'ingresso della stanza utilizzata dal Centro Antiviolenza di Bitonto – si legge in una nota della presidente - dedicata a Mariagrazia Cutrone. È lì da tempo, incardinata nella storia del Centro a tutela delle donne vittime di violenza, quasi a sostenerne e rafforzarne l'impegno. Oggi ha catturato in maniera diversa il mio sguardo, perché oggi si è avuta notizia della condanna dell'autore del suo assassinio a 18 anni di detenzione».
All'uomo - che, dopo anni di violenze, aveva ucciso la moglie con 10 coltellate nella casa della suocera davanti al figlio di appena 3 anni per aver scoperto una presunta relazione extraconiugale della donna esasperata dai continui maltrattamenti - non sono state riconosciute le condizioni per applicare le attenuanti della cosiddetta "tempesta emotiva", l'ordinamento giurisprudenziale che mira a ridurre le pene nel caso in cui venga riconosciuto il ruolo provocatore dell'ambiente circostante e rischia quindi ancora l'ergastolo.
«Nei commenti dei più – scrive però Anna De Vanna - la frase abusata: "giustizia è fatta". Nei miei dolenti pensieri sulla tragedia, una domanda: "È questa una giustizia giusta?". Sul piano processuale, forse. Ma basterà a riparare il sentimento generale di ingiustizia di fronte ad una giovane vita spezzata così ingiustamente ? Rispetto allo strazio che ancora si legge negli occhi di una madre per la perdita della figlia? Nei confronti di innocenti bambini crudelmente strappati all'affetto e al legame materno? Evidentemente nessuna condanna, per quanto severa e giusta, potrà ripristinare il diritto alla vita e alla tenuta dei legami».
La soluzione, allora, sta forse da un'altra parte. «Rispetto a questa assurda ineluttabilità – spiega la responsabile del Centro - un solo monito: siamo tutti chiamati a combattere la violenza in tutti i modi e in qualsiasi luogo si manifesti. Per noi che quotidianamente incrociamo storie drammatiche di violenza di genere, un richiamo forte a costruire sistemi di tutela rafforzati attraverso il coinvolgimento di tutte le risorse del territorio, ma soprattutto a precocizzare azioni di sensibilizzazione rivolte ai più giovani in vista di un cambiamento culturale a fondamento di una qualità più "giusta"dei legami. Perché una targa, per quanto pensata e dedicata per rispettare il dolore e tenere vivi i ricordi, segnala brutalmente un'assenza nell'intera comunità».