Il pestaggio e l'omertà. Quella parentela con il boss
I i tre fermati sono ritenuti vicini al clan Conte. Sullo sfondo il business della droga
giovedì 26 ottobre 2017
14.01
Le indagini della Squadra Mobile di Bari e del Commissariato di Pubblica Sicurezza di Bitonto proseguono serratissime. Il capo della Mobile, Annino Gargano, è stato chiaro: «Gli arresti sono una risposta istituzionale forte, che spegne la fiammata della criminalità organizzata».
Una prima prova della presenza delle istituzioni è arrivata ieri mattina. Gli agenti della Polizia di Stato, coadiuvati dal personale del Reparto Prevenzione Crimine Puglia Settentrionale, hanno arrestato i pregiudicati Domenico Liso, di 27 anni, Damiano Caputo di 19 anni, e Vito Antonio Tarullo, di 33 anni, tutti ritenuti vicini al clan Conte, operativo nella zona 167 di Bitonto.
I tre bitontini (ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di porto illegale di armi in luogo pubblico e lesioni personali, con l'aggravante di aver commesso i reati con l'utilizzo del metodo mafioso, ndr), la mattina del 29 settembre scorso, hanno raggiunto a bordo di una Opel Astra una autorimessa ubicata lungo la strada provinciale 231, per mandare, a suon di pugni, un messaggio mafioso al clan opposto.
Due componenti del commando, dopo essere scesi dall'auto, hanno aggredito un 25enne incensurato, estraneo ai contesti criminali cittadini, ma colpevole solo di essere il cugino del braccio destro del capo clan. Lo hanno spinto in un container e lo hanno picchiato anche con due pistole, procurandogli la frattura degli incisivi e gravi ferite al volto e alla testa, medicate presso il punto di primo intervento di Bitonto.
A rafforzare lo spirito intimidatorio, il gesto di uno degli aggressori. Dopo aver bloccato la vittima e prima di percuoterla con particolare violenza, si è alzato il passamontagna facendosi riconoscere, forte dell'assoggettamento e dell'omertà che ciò avrebbe provocato nel 25enne bitontino, ed ha chiesto alla vittima: «Mi hai riconosciuto?», aggiungendo di riferire a suo cugino un messaggio.
«Il tenore del messaggio e le modalità con cui lo stesso è stato "consegnato" alla vittima, attraverso un brutale pestaggio, a volto coperto, in un'area pubblica con ostentazione di violenza e disponibilità di armi, costituiscono - secondo gli investigatori - elementi tali da conferire all'intera vicenda la matrice di azione dimostrativa ed al contempo trasversale, tipica dei peggiori contesti mafiosi».
Le indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, hanno infatti accertato che il pestaggio è stato attuato «al solo fine - ha spiegato la Polizia di Stato - di far arrivare a quest'ultimo un messaggio intimidatorio, attuando in tal modo una vera e propria vendetta trasversale, propria delle organizzazioni di stampo mafioso».
«Una risposta diretta ad un altro pestaggio - ha spiegato Fabrizio Gargiulo, dirigente del Commissariato di P.S. di Bitonto - subito da uno dei sodali arrestati e compiuto a quanto pare dal cugino della vittima e da persone a lui vicine». Anche in questo primo caso la vittima non ha sporto alcuna denuncia, consolidando il muro di omertà che circonda l'intera vicenda.
A parlare (con i fatti, ndr), ci ha pensato la Polizia di Stato che inquadra i due episodi come «una serie di segnali di una situazione criminale fluida, in cui gruppi o singoli personaggi hanno alzato la testa nel business della droga» ove, da anni, si contendono il predominio i Conte ed i Cipriano.
Una prima prova della presenza delle istituzioni è arrivata ieri mattina. Gli agenti della Polizia di Stato, coadiuvati dal personale del Reparto Prevenzione Crimine Puglia Settentrionale, hanno arrestato i pregiudicati Domenico Liso, di 27 anni, Damiano Caputo di 19 anni, e Vito Antonio Tarullo, di 33 anni, tutti ritenuti vicini al clan Conte, operativo nella zona 167 di Bitonto.
I tre bitontini (ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di porto illegale di armi in luogo pubblico e lesioni personali, con l'aggravante di aver commesso i reati con l'utilizzo del metodo mafioso, ndr), la mattina del 29 settembre scorso, hanno raggiunto a bordo di una Opel Astra una autorimessa ubicata lungo la strada provinciale 231, per mandare, a suon di pugni, un messaggio mafioso al clan opposto.
Due componenti del commando, dopo essere scesi dall'auto, hanno aggredito un 25enne incensurato, estraneo ai contesti criminali cittadini, ma colpevole solo di essere il cugino del braccio destro del capo clan. Lo hanno spinto in un container e lo hanno picchiato anche con due pistole, procurandogli la frattura degli incisivi e gravi ferite al volto e alla testa, medicate presso il punto di primo intervento di Bitonto.
A rafforzare lo spirito intimidatorio, il gesto di uno degli aggressori. Dopo aver bloccato la vittima e prima di percuoterla con particolare violenza, si è alzato il passamontagna facendosi riconoscere, forte dell'assoggettamento e dell'omertà che ciò avrebbe provocato nel 25enne bitontino, ed ha chiesto alla vittima: «Mi hai riconosciuto?», aggiungendo di riferire a suo cugino un messaggio.
«Il tenore del messaggio e le modalità con cui lo stesso è stato "consegnato" alla vittima, attraverso un brutale pestaggio, a volto coperto, in un'area pubblica con ostentazione di violenza e disponibilità di armi, costituiscono - secondo gli investigatori - elementi tali da conferire all'intera vicenda la matrice di azione dimostrativa ed al contempo trasversale, tipica dei peggiori contesti mafiosi».
Le indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, hanno infatti accertato che il pestaggio è stato attuato «al solo fine - ha spiegato la Polizia di Stato - di far arrivare a quest'ultimo un messaggio intimidatorio, attuando in tal modo una vera e propria vendetta trasversale, propria delle organizzazioni di stampo mafioso».
«Una risposta diretta ad un altro pestaggio - ha spiegato Fabrizio Gargiulo, dirigente del Commissariato di P.S. di Bitonto - subito da uno dei sodali arrestati e compiuto a quanto pare dal cugino della vittima e da persone a lui vicine». Anche in questo primo caso la vittima non ha sporto alcuna denuncia, consolidando il muro di omertà che circonda l'intera vicenda.
A parlare (con i fatti, ndr), ci ha pensato la Polizia di Stato che inquadra i due episodi come «una serie di segnali di una situazione criminale fluida, in cui gruppi o singoli personaggi hanno alzato la testa nel business della droga» ove, da anni, si contendono il predominio i Conte ed i Cipriano.