Omicidio Dellino a Bitonto, parla il pentito Amore: «Ucciso perché poteva parlare»
Le dichiarazioni del pentito svelano il movente dell'uccisione del 29enne, avvenuto nel 2007
sabato 25 gennaio 2020
18.25
«Gli voglio bene, non lo voglio uccidere, perché non siamo carne da macello, però se viene preso ha proprio la volontà di andare a collaborare con la giustizia, a dire i fatti».
Il collaboratore di giustizia Arturo Amore, 32 anni, ex affiliato al clan Strisciuglio, racconta che così sarebbe stata decisa dal clan di Bari la morte del 29enne Giuseppe Dellino, adepto ritenuto inaffidabile, che fu prima sequestrato e rinchiuso in un casolare, poi ucciso con un colpo di pistola alla testa e il corpo gettato in un pozzo. Per anni è stato un caso di lupara bianca, finché i suoi resti sono stati ritrovati nel 2013.
Il verbale con le sue dichiarazioni è stato depositato al processo d'appello bis per il duplice omicidio del 29enne Vito Napoli, referente del clan Conte di Bitonto, e di Dellino, entrambi risalenti all'estate 2007. Nei mesi scorsi la Cassazione ha annullato con rinvio due condanne all'ergastolo e una a 30 anni di reclusione.
Stando alla ricostruzione accusatoria, Dellino faceva parte del gruppo di fuoco che ammazzò Napoli nell'ambito della guerra scoppiata tra i clan Strisciuglio di Bari e Conte di Bitonto, perché i primi volevano «prendere Bitonto», con la complicità del clan Cipriano, rivale dei Conte.
«Nel 2006-2007 avevamo sotto controllo più di una decina di zone - racconta Amore - diversi quartieri di Bari e alcune città della provincia. Ci mancava Bitonto. Nessuno mai dei baresi era riuscito a prendersi questo benedetto Bitonto perché c'era il clan Conte molto forte sia militarmente che economicamente. E allora bisognava trovare una squadra di killer da mandare lì».
Durante quell'estate, stando al racconto del pentito, si susseguirono numerosi agguati tra i due gruppi criminali, con «piccoli ragazzini che ci facevano da vedette», che culminarono nell'omicidio di Vito Napoli. In quel conflitto a fuoco rimase ferito anche il boss Domenico Conte.
Di quell'agguato sono stati accusati Giuseppe Digiacomantonio, Salvatore Ficarelli, Giuseppe Ladisa (morto suicida in carcere nel 2009) e Dellino. I primi due erano stati condannati all'ergastolo ma la Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza. Dopo l'omicidio Napoli il clan avrebbe deciso di eliminare Dellino, per timore che parlasse: «Fare questa cosa qua era facile, difficile moralmente, per quanto riguarda ammazzare un amico, però era facile da fare questa storia», spiega il pentito.
Secondo l'accusa, a ucciderlo e poi occultarne il cadavere sarebbero stati Digiacomantonio e un altro sodale, Giosuè Perrelli (anche per lui è stata annullata con rinvio la condanna a 30 anni di reclusione).
Il collaboratore di giustizia Arturo Amore, 32 anni, ex affiliato al clan Strisciuglio, racconta che così sarebbe stata decisa dal clan di Bari la morte del 29enne Giuseppe Dellino, adepto ritenuto inaffidabile, che fu prima sequestrato e rinchiuso in un casolare, poi ucciso con un colpo di pistola alla testa e il corpo gettato in un pozzo. Per anni è stato un caso di lupara bianca, finché i suoi resti sono stati ritrovati nel 2013.
Il verbale con le sue dichiarazioni è stato depositato al processo d'appello bis per il duplice omicidio del 29enne Vito Napoli, referente del clan Conte di Bitonto, e di Dellino, entrambi risalenti all'estate 2007. Nei mesi scorsi la Cassazione ha annullato con rinvio due condanne all'ergastolo e una a 30 anni di reclusione.
Stando alla ricostruzione accusatoria, Dellino faceva parte del gruppo di fuoco che ammazzò Napoli nell'ambito della guerra scoppiata tra i clan Strisciuglio di Bari e Conte di Bitonto, perché i primi volevano «prendere Bitonto», con la complicità del clan Cipriano, rivale dei Conte.
«Nel 2006-2007 avevamo sotto controllo più di una decina di zone - racconta Amore - diversi quartieri di Bari e alcune città della provincia. Ci mancava Bitonto. Nessuno mai dei baresi era riuscito a prendersi questo benedetto Bitonto perché c'era il clan Conte molto forte sia militarmente che economicamente. E allora bisognava trovare una squadra di killer da mandare lì».
Durante quell'estate, stando al racconto del pentito, si susseguirono numerosi agguati tra i due gruppi criminali, con «piccoli ragazzini che ci facevano da vedette», che culminarono nell'omicidio di Vito Napoli. In quel conflitto a fuoco rimase ferito anche il boss Domenico Conte.
Di quell'agguato sono stati accusati Giuseppe Digiacomantonio, Salvatore Ficarelli, Giuseppe Ladisa (morto suicida in carcere nel 2009) e Dellino. I primi due erano stati condannati all'ergastolo ma la Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza. Dopo l'omicidio Napoli il clan avrebbe deciso di eliminare Dellino, per timore che parlasse: «Fare questa cosa qua era facile, difficile moralmente, per quanto riguarda ammazzare un amico, però era facile da fare questa storia», spiega il pentito.
Secondo l'accusa, a ucciderlo e poi occultarne il cadavere sarebbero stati Digiacomantonio e un altro sodale, Giosuè Perrelli (anche per lui è stata annullata con rinvio la condanna a 30 anni di reclusione).