Procacci: «Il Pd non è quello che sognavamo 10 anni fa»
L'ex senatore, deluso dalle scelte degli ultimi anni, però rilancia: «Combattere per il PD che vogliamo»
martedì 17 ottobre 2017
18.17
In un momento in cui si prospettano profondi cambiamenti all'interno del partito più rappresentativo della Sinistra italiana, che proprio in questi giorni spegne la sua decima candelina, l'ex senatore Giovanni Procacci ha raccontato al Corriere del Mezzogiorno le sue considerazioni sul progressivo calo di consenso del Partito Democratico e sulla delusione delle aspettative che avevano fatto nascere, 10 anni fa, il partito.
«Ho vissuto in prima persona la nascita del Partito Democratico – scrive Procacci in una lunga nota - condividendo quotidianamente con Romano Prodi e Arturo Parisi le ansie e le speranze di una nuova politica. Oggi, a dieci anni dalla sua nascita, non posso tacere. II Pd nacque dalla convinzione che per cambiare il paese occorreva cambiare la politica del paese. Un cambiamento fatto di nuove forme di partecipazione e animato dalla volontà di far convergere in una prospettiva comune le grandi tradizioni democratiche del '900, aprendosi anche a tutte le istanze di modernità provenienti da quella parte della società ad esse estranee».
La mancanza di una effettiva ed efficace partecipazione è l'aspetto più preoccupante, per Procacci, che ricorda come «all'Ulivo - humus in cui prese corpo il progetto del PD - infatti, aderivano, attraverso centinaia di comitati, che io coordinavo a livello nazionale, moltissimi cittadini che non appartenevano a nessuno dei partiti che componevano l'alleanza. Furono anni di grande entusiasmo che ci portarono a battere per due volte il centrodestra di Berlusconi e a piegare le resistenze al progetto, sotterranee ma tenaci che fecero cadere il governo Prodi e che
nascevano dalla volontà di non rimuovere l'assetto di potere dei singoli partiti».
Un entusiasmo che si è però spento col tempo. «A distanza di dieci anni da quella stagione – ammette l'ex senatore - sento di poter dire che il Pd di oggi non è certamente quello che allora sognammo, sia perché quell'idea non sempre ha camminato su gambe adeguate sia per due ragioni precise. La prima: il progetto per sua stessa natura richiedeva, da parte della classe dirigente, un atteggiamento di apertura, di accoglienza e di continua armonizzazione delle sensibilità. Una volontà di unire, dunque, non solo proclamata, ma necessariamente tradotta in una organizzazione di partito idonea ad assecondare tutto questo con una struttura a rete sostenuta anche da circoli tenutici».
Secondo Procacci, che attualmente ricopre il ruolo di consigliere del presidente della Regione Michele Emiliano per i rapporti con il consiglio regionale e gli organismi interni e internazionali, il Pd avrebbe «sostanzialmente mantenuto la struttura dei vecchi partiti, fondata su tessere e sezioni, assolutamente inadatta ad interpretare il nuovo orizzonte. La seconda è la sciagurata norma che fa coincidere il ruolo di segretario nazionale con quella di candidato premier, ad incomprensibile differenza di quanto previsto dallo Statuto per i livelli locali nei quali sindaco e presidente di regione non possono essere segretari comunali o regionali del partito. Questo ha indotto i vari leader – nessuno escluso - a ritenere la segreteria uno strumento per la scalata al governo e non un impegno da profondere per promuovere un partito moderno e capace di sviluppare la sua vocazione in ossequio ai suoi principi fondativi».
Il fiorire delle liste civiche e la crescita dell'antipolitica sarebbero le dirette conseguenze di queste scelte.
«Che fare? - si chiede allora Procacci - non certo abbandonare la nave, non serve, se non forse alla sopravvivenza di un ceto politico. L'unica risposta continuare a a lottare per il Pd che abbiamo sempre voluto, per una grande idea che fatica a trovare piena realizzazione, ma che rimane una prospettiva recuperabile,
anche davanti alle macerie che ci circondano, nella consapevolezza che i cambiamenti veri la storia non li partorisce facilmente. In un tempo in cui alla politica manca tensione e profezia è l'unica strada che riesce a dare un senso al proprio impegno».
«Ho vissuto in prima persona la nascita del Partito Democratico – scrive Procacci in una lunga nota - condividendo quotidianamente con Romano Prodi e Arturo Parisi le ansie e le speranze di una nuova politica. Oggi, a dieci anni dalla sua nascita, non posso tacere. II Pd nacque dalla convinzione che per cambiare il paese occorreva cambiare la politica del paese. Un cambiamento fatto di nuove forme di partecipazione e animato dalla volontà di far convergere in una prospettiva comune le grandi tradizioni democratiche del '900, aprendosi anche a tutte le istanze di modernità provenienti da quella parte della società ad esse estranee».
La mancanza di una effettiva ed efficace partecipazione è l'aspetto più preoccupante, per Procacci, che ricorda come «all'Ulivo - humus in cui prese corpo il progetto del PD - infatti, aderivano, attraverso centinaia di comitati, che io coordinavo a livello nazionale, moltissimi cittadini che non appartenevano a nessuno dei partiti che componevano l'alleanza. Furono anni di grande entusiasmo che ci portarono a battere per due volte il centrodestra di Berlusconi e a piegare le resistenze al progetto, sotterranee ma tenaci che fecero cadere il governo Prodi e che
nascevano dalla volontà di non rimuovere l'assetto di potere dei singoli partiti».
Un entusiasmo che si è però spento col tempo. «A distanza di dieci anni da quella stagione – ammette l'ex senatore - sento di poter dire che il Pd di oggi non è certamente quello che allora sognammo, sia perché quell'idea non sempre ha camminato su gambe adeguate sia per due ragioni precise. La prima: il progetto per sua stessa natura richiedeva, da parte della classe dirigente, un atteggiamento di apertura, di accoglienza e di continua armonizzazione delle sensibilità. Una volontà di unire, dunque, non solo proclamata, ma necessariamente tradotta in una organizzazione di partito idonea ad assecondare tutto questo con una struttura a rete sostenuta anche da circoli tenutici».
Secondo Procacci, che attualmente ricopre il ruolo di consigliere del presidente della Regione Michele Emiliano per i rapporti con il consiglio regionale e gli organismi interni e internazionali, il Pd avrebbe «sostanzialmente mantenuto la struttura dei vecchi partiti, fondata su tessere e sezioni, assolutamente inadatta ad interpretare il nuovo orizzonte. La seconda è la sciagurata norma che fa coincidere il ruolo di segretario nazionale con quella di candidato premier, ad incomprensibile differenza di quanto previsto dallo Statuto per i livelli locali nei quali sindaco e presidente di regione non possono essere segretari comunali o regionali del partito. Questo ha indotto i vari leader – nessuno escluso - a ritenere la segreteria uno strumento per la scalata al governo e non un impegno da profondere per promuovere un partito moderno e capace di sviluppare la sua vocazione in ossequio ai suoi principi fondativi».
Il fiorire delle liste civiche e la crescita dell'antipolitica sarebbero le dirette conseguenze di queste scelte.
«Che fare? - si chiede allora Procacci - non certo abbandonare la nave, non serve, se non forse alla sopravvivenza di un ceto politico. L'unica risposta continuare a a lottare per il Pd che abbiamo sempre voluto, per una grande idea che fatica a trovare piena realizzazione, ma che rimane una prospettiva recuperabile,
anche davanti alle macerie che ci circondano, nella consapevolezza che i cambiamenti veri la storia non li partorisce facilmente. In un tempo in cui alla politica manca tensione e profezia è l'unica strada che riesce a dare un senso al proprio impegno».