Talento e ambizione: gli ingredienti del sogno di Marco Di Nunno
L'artista bitontino è da poco entrato a far parte dei Mezzotono
domenica 21 febbraio 2021
21.40
Quando il talento incontra l'ambizione, pensare in grande diventa quasi un obbligo. Marco Di Nunno, bitontino, classe '94 dopo anni di studio, di sacrifici e di determinazione, vede il suo sogno sempre più vicino: girare il mondo con la propria voce. Infatti, da poco, è diventato il quinto membro dei Mezzotono, la piccola Orchestra Italiana senza strumenti, che ormai da anni riempie i teatri di tutto il mondo. Lo scorso anno ha completato il biennio formativo alla SDM – La scuola del Musical di Milano, uno dei maggiori centri nevralgici della formazione didattica nel mondo dello spettacolo, ed è pronto a spiccare il volo. Cantautore e attore, Marco si sta facendo strada nell'universo artistico italiano, senza mai perdere di vista l'umiltà e la dimensione della semplicità.
Come racconteresti il biennio trascorso all'SDM?
«L'SDM è stata una delle esperienze più ricche che abbia mai fatto. Durante questi due anni ho imparato a mettermi in gioco, a fare un passo indietro e a darmi valore al tempo stesso. Ho imparato cosa vuol dire lavorare duro per ottenere un risultato, per poi godermelo a pieno, orgoglioso di tutto il sudore versato. Inoltre, grazie a questo percorso, ho scoperto di poter superare i miei limiti, anche fisici, infatti ho imparato a danzare, qualcosa che mai avrei pensato di poter fare. Ecco, l'SDM, al di là del bagaglio che fornisce a ogni suo allievo, ti insegna ad avere una mentalità vincente che ti permette di arrivare ovunque, al di là della carriera che si sceglie. Sono molto grato per aver avuto questa opportunità, la porterò sempre nel cuore».
Con i Mezzotono girerai il mondo, cosa ti aspetti da questa esperienza?
«Sono onorato di essere entrato a far parte di questo progetto. Non ho aspettative a riguardo, se non quella di trarne il meglio. Sto cominciando una collaborazione con persone meravigliose e accoglienti, nonché grandi professionisti del settore. Sarà una bella sfida e sono assolutamente pronto a coglierla».
Se ti avessero detto che un giorno saresti diventato un artista. Ci avresti creduto?
«Sicuramente no, ma voglio sottolineare per me un aspetto molto importante. Penso che "artisti", per certi versi, lo siamo un po' tutti. Chi più, chi meno. Per me un artista è colui che crea qualcosa mettendola a servizio del prossimo. Ad esempio, considero i miei genitori dei veri artisti poiché continuano a sacrificare i loro risparmi per costruire costantemente il mio futuro; ancora, credo che coloro che sacrificano la propria vita in nome degli altri, in nome della propria patria, siano altrettanto artisti nel loro donarsi alla comunità. Quindi non mi sento di darmi una definizione. Credo nell'artista in quanto uomo, prima di tutto».
Che ricordi hai del tuo primo spettacolo?
«Ero in quinta elementare: uno scricciolo con un'infinità di capelli, timido e silenzioso. Facevo parte di una piccola recita scolastica. Interpretavo un falegname. Avevo con me chiodi e martello. Prendevo un chiodo, lo martellavo un po' nel legno e lo ritiravo fuori imbarazzato. In tutto ciò, mio padre mi puntava contro - con sganciato fare professionistico stile Boris - un mostro digitale che sembrava a tutti gli effetti essere una videocamera a spalla. Fu un evento traumatico. Ritornai a casa piangendo, ma dimenticai tutto con quattro palleggi e qualche partita alla playstation.»
Quando hai capito che volevi fare questo nella vita?
«Dopo la mia prima audizione professionale, nel 2013, svolta con due membri dello storico gruppo dei Matia Bazar. Interpretai un brano di Jason Mraz con tutta la grinta che avevo dentro. Ricordo ancora gli occhi di Piero Cassano, produttore e membro dei Matia. Ci guardammo per sette, otto secondi, senza dire nulla. E in quel momento capii che era accaduto qualcosa di bello dentro di me. Allora ero uno studente universitario, il giorno dopo abbandonai gli studi.»
Ti spaventa il cosiddetto precariato artistico?
«Si, ma cerco di non dar troppa importanza ai miei pensieri negativi e mi impegno nel costruire giorno dopo giorno il mio avvenire. Mi spaventa di più il precariato dell'anima. Ho tanti progetti e non vedo l'ora di mettermi il cantiere. Non potrei mai rinunciare ai miei sogni, è un urgenza, un bisogno dell'anima. Senza la musica sento di mancare a me stesso!».
Quali sono i consigli che daresti ad un giovane ragazzo un po' spaventato da questa strada?
«Non mi sento di poter dar consigli a nessuno, anche perché penso che ognuno sia il consigliere insindacabile di se stesso. Ognuno di noi conosce la propria verità, l'importante è che quest'ultima non sia condizionata da fattori esterni che possano deviare il proprio cammino. Per quanto mi riguarda, penso che ciò che realmente è fondamentale per la propria crescita, personale e artistica, sia il continuo e il profondo lavoro di conoscenza interiore. Il resto, condito dalla giusta competenza. Adesso più che mai è il momento di costruire, di non avere paura, di avere il coraggio di andare a rincorrere i propri sogni».
Come racconteresti il biennio trascorso all'SDM?
«L'SDM è stata una delle esperienze più ricche che abbia mai fatto. Durante questi due anni ho imparato a mettermi in gioco, a fare un passo indietro e a darmi valore al tempo stesso. Ho imparato cosa vuol dire lavorare duro per ottenere un risultato, per poi godermelo a pieno, orgoglioso di tutto il sudore versato. Inoltre, grazie a questo percorso, ho scoperto di poter superare i miei limiti, anche fisici, infatti ho imparato a danzare, qualcosa che mai avrei pensato di poter fare. Ecco, l'SDM, al di là del bagaglio che fornisce a ogni suo allievo, ti insegna ad avere una mentalità vincente che ti permette di arrivare ovunque, al di là della carriera che si sceglie. Sono molto grato per aver avuto questa opportunità, la porterò sempre nel cuore».
Con i Mezzotono girerai il mondo, cosa ti aspetti da questa esperienza?
«Sono onorato di essere entrato a far parte di questo progetto. Non ho aspettative a riguardo, se non quella di trarne il meglio. Sto cominciando una collaborazione con persone meravigliose e accoglienti, nonché grandi professionisti del settore. Sarà una bella sfida e sono assolutamente pronto a coglierla».
Se ti avessero detto che un giorno saresti diventato un artista. Ci avresti creduto?
«Sicuramente no, ma voglio sottolineare per me un aspetto molto importante. Penso che "artisti", per certi versi, lo siamo un po' tutti. Chi più, chi meno. Per me un artista è colui che crea qualcosa mettendola a servizio del prossimo. Ad esempio, considero i miei genitori dei veri artisti poiché continuano a sacrificare i loro risparmi per costruire costantemente il mio futuro; ancora, credo che coloro che sacrificano la propria vita in nome degli altri, in nome della propria patria, siano altrettanto artisti nel loro donarsi alla comunità. Quindi non mi sento di darmi una definizione. Credo nell'artista in quanto uomo, prima di tutto».
Che ricordi hai del tuo primo spettacolo?
«Ero in quinta elementare: uno scricciolo con un'infinità di capelli, timido e silenzioso. Facevo parte di una piccola recita scolastica. Interpretavo un falegname. Avevo con me chiodi e martello. Prendevo un chiodo, lo martellavo un po' nel legno e lo ritiravo fuori imbarazzato. In tutto ciò, mio padre mi puntava contro - con sganciato fare professionistico stile Boris - un mostro digitale che sembrava a tutti gli effetti essere una videocamera a spalla. Fu un evento traumatico. Ritornai a casa piangendo, ma dimenticai tutto con quattro palleggi e qualche partita alla playstation.»
Quando hai capito che volevi fare questo nella vita?
«Dopo la mia prima audizione professionale, nel 2013, svolta con due membri dello storico gruppo dei Matia Bazar. Interpretai un brano di Jason Mraz con tutta la grinta che avevo dentro. Ricordo ancora gli occhi di Piero Cassano, produttore e membro dei Matia. Ci guardammo per sette, otto secondi, senza dire nulla. E in quel momento capii che era accaduto qualcosa di bello dentro di me. Allora ero uno studente universitario, il giorno dopo abbandonai gli studi.»
Ti spaventa il cosiddetto precariato artistico?
«Si, ma cerco di non dar troppa importanza ai miei pensieri negativi e mi impegno nel costruire giorno dopo giorno il mio avvenire. Mi spaventa di più il precariato dell'anima. Ho tanti progetti e non vedo l'ora di mettermi il cantiere. Non potrei mai rinunciare ai miei sogni, è un urgenza, un bisogno dell'anima. Senza la musica sento di mancare a me stesso!».
Quali sono i consigli che daresti ad un giovane ragazzo un po' spaventato da questa strada?
«Non mi sento di poter dar consigli a nessuno, anche perché penso che ognuno sia il consigliere insindacabile di se stesso. Ognuno di noi conosce la propria verità, l'importante è che quest'ultima non sia condizionata da fattori esterni che possano deviare il proprio cammino. Per quanto mi riguarda, penso che ciò che realmente è fondamentale per la propria crescita, personale e artistica, sia il continuo e il profondo lavoro di conoscenza interiore. Il resto, condito dalla giusta competenza. Adesso più che mai è il momento di costruire, di non avere paura, di avere il coraggio di andare a rincorrere i propri sogni».