Uccise a pugni Paolo Caprio a Bitonto: condanna confermata a 21 anni
La discussione all'interno della Dill's. Per l'imputato i giudici hanno rigettato la riqualificazione del reato da volontario a preterintenzionale
venerdì 14 giugno 2024
11.32
La Corte d'Assise d'Appello di Bari ha confermato il reato e la condanna a 21 anni di carcere per Fabio Giampalmo, 21 anni, di Bitonto, ex pugile, accusato di aver aggredito e ucciso con quattro pugni il 40enne Paolo Caprio la notte tra il 4 e il 5 settembre 2021 fuori ad un bar dell'area di servizio Dill's sulla via per Modugno.
I giudici barese (presidente Eustacchio Cafaro) hanno confermato il reato di omicidio volontario (con il dolo eventuale) pluriaggravato dai futili motivi e dall'aver commesso il fatto «attraverso l'uso di tecniche di combattimento tali da ostacolare la privata difesa». Secondo i giudici avrebbe sferrato quei pugni al volto della vittima con la volontà di uccidere. O almeno con la cognizione che quella sequenza così violenta di colpi avrebbe potuto rivelarsi letale, accettandone il rischio.
La difesa, i legali Nicola Quaranta e Giovanni Capaldi, insistevano affinché venisse riqualificato il reato da omicidio volontario a preterintenzionale, evidenziando che Giampalmo non sferrò colpi «tipici delle arti marziali», ma una sola sequenza di quattro pugni da boxe, di cui solo l'ultimo capace di produrre lo stordimento» e «non in zone letali». Secondo la ricostruzione dell'accusa, l'imputato sarebbe arrivato nella stazione di servizio con la sua compagna, i figli e alcuni suoi amici.
Qui, dopo un diverbio, «per rispondere ad una provocazione, perché non aveva portato rispetto al suo gruppo di amici», avrebbe sferrato con aggressività quattro pugni, a Caprio. I giudici hanno confermato interamente la sentenza di primo grado, sia sulla qualificazione giuridica e sia sulla quantificazione della condanna.
I giudici barese (presidente Eustacchio Cafaro) hanno confermato il reato di omicidio volontario (con il dolo eventuale) pluriaggravato dai futili motivi e dall'aver commesso il fatto «attraverso l'uso di tecniche di combattimento tali da ostacolare la privata difesa». Secondo i giudici avrebbe sferrato quei pugni al volto della vittima con la volontà di uccidere. O almeno con la cognizione che quella sequenza così violenta di colpi avrebbe potuto rivelarsi letale, accettandone il rischio.
La difesa, i legali Nicola Quaranta e Giovanni Capaldi, insistevano affinché venisse riqualificato il reato da omicidio volontario a preterintenzionale, evidenziando che Giampalmo non sferrò colpi «tipici delle arti marziali», ma una sola sequenza di quattro pugni da boxe, di cui solo l'ultimo capace di produrre lo stordimento» e «non in zone letali». Secondo la ricostruzione dell'accusa, l'imputato sarebbe arrivato nella stazione di servizio con la sua compagna, i figli e alcuni suoi amici.
Qui, dopo un diverbio, «per rispondere ad una provocazione, perché non aveva portato rispetto al suo gruppo di amici», avrebbe sferrato con aggressività quattro pugni, a Caprio. I giudici hanno confermato interamente la sentenza di primo grado, sia sulla qualificazione giuridica e sia sulla quantificazione della condanna.