Cronaca
Chi è Domenico Conte
Latitante dal 20 aprile, è considerato a capo dell'omonimo clan: ecco la sua storia
Bitonto - domenica 22 aprile 2018
14.03
Domenico Conte, l'uomo che regna sull'omonimo clan di Bitonto protagonista della faida con il gruppo rivale dei Cipriano, il presunto boss della zona 167 ricercato da Carabinieri e Polizia ma introvabile. Quasi un fantasma. Un'ombra che aleggia ormai da 48 ore.
Domenico Conte, 48 anni, conosciuto negli ambienti criminali con l'alias di "Mimm u negr", secondo l'ultima ricostruzione elaborata dalla Questura di Bari, ha iniziato ''la sua carriera criminale'' agli inizi degli anni '90, quando era appena 20enne e divenne sin da subito ragazzo di fiducia di Michele D'Elia, per tutti "Michele sei dita", affiliato alla Sacra Corona Unita con referente il più famoso boss monopolitano Giuseppe Muolo.
La morte di Michele D'Elia, avvenuta il 3 maggio 1992 dopo aver forzato un posto di blocco della Polizia di Stato, fece sì che Conte si associasse a Mario D'Elia e a Giuseppe Cassano, rispettivamente fratello e nipote di Michele D'Elia, i quali avrebbero formato un gruppo criminale che si contrappose all'ormai radicato clan vicino a Savino Parisi di Bari, all'epoca sorretto a Bitonto da Michele Bux (poi morto per omicidio) e poi da Giuseppe Valentini.
È seguito, stando all'ipotesi investigativa, un decennio in cui il clan Conte ha iniziato a radicarsi sul territorio bitontino attraverso lo spaccio al minuto di sostanze stupefacenti nella zona delle case popolari di via Togliatti e l'imposizione di tangenti a commercianti in contrapposizione al gruppo rivale dei Valentino-Semiraro per il controllo dei traffici illegali nella città di Bitonto.
Il 31 gennaio 2003, due persone, che alcuni individuarono nei pregiudicati Giuseppe Leccese e Michele Pazienza, tentano di uccidere il presunto boss, Domenico Conte. Aver mancato l'obiettivo prefissato li condanna per sempre. Li attende la cosiddetta lupara bianca, un omicidio realizzato a regola d'arte di modo che non resti alcuna traccia. Leccese scompare a luglio, Pazienza ad agosto, vittima di lupara bianca nello stesso contesto criminale.
Con l'operazione "Harvest" del 10 maggio 2004 il clan Conte viene completamente decimato, in particolare i vertici Domenico Conte, Vito Napoli e Mario D'Elia, detenuti per oltre 3 anni fino al 19 aprile 2007, quando la prima sezione del Tribunale di Bari assolve l'intero clan dalle imputazioni loro contestate, tra cui l'associazione per delinquere di stampo mafioso, le estorsioni, gli incendi ad esercizi commerciali e la detenzione illegale di armi e stupefacenti.
Solo Domenico Conte viene condannato per la sola violazione all'inosservanza della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza, scarcerato e riarrestato per la violazione del regime di sorveglianza speciale dopo essere sfuggito all'imboscata, il 27 luglio 2007, costata la vita al suo braccio destro Vito Napoli con cui si aggirava, a bordo di due scooter, quando sono stati inseguiti e raggiunti dai colpi dei sicari.
Conte, scampato all'agguato, si era rifugiato in una delle abitazioni della zona 167 ma era stato arrestato nelle ore successive perché, proprio in coincidenza con l'agguato, aveva violato gli obblighi della sorveglianza speciale ai quali era sottoposto. Il 16 ottobre 2008, poi, torna in carcere: l'uomo, che era già confinato agli arresti domiciliari, viene trasferito a Bari, dove sconterà una pena di poco superiore ai 10 mesi per aggressione e oltraggio a pubblico ufficiale.
Riacquista la libertà all'inizio del 2009, pronto a riprendersi il "suo" territorio e a riconquistare il terreno perduto, ma il 20 giugno 2009 torna dietro le sbarre con le accuse di lesioni personali aggravate e ripetute violazioni della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno. Il 12 marzo 2010 sfugge all'ennesimo agguato: era lui il vero obiettivo della sparatoria di porta Robustina. Conte viene colpito da due proiettili, ma riesce a cavarsela.
Arriviamo al 10 agosto 2010, quando la Polizia di Stato lo arresta ancora una volta per aver violato ripetutamente le prescrizioni della sorveglianza speciale a cui era sottoposto e per essere stato intercettato due volte fuori dalla propria abitazione riuscendo però a sfuggire alla cattura dopo altrettanti inseguimenti: nel primo caso venne intercettato a Terlizzi, nel secondo caso l'inseguimento iniziò a Bitonto e si concluse a Giovinazzo.
Lascia il carcere, ma il 22 marzo 2014 viene ancora una volta riconosciuto responsabile di aver violato gli obblighi della sorveglianza speciale con l'obbligo di soggiorno. In seguito alle numerose violazioni alla misura di prevenzione, la Polizia di Stato presenta un'articolata informativa di reato, in cui sono evidenziate le reiterate condotte illegali del sorvegliato speciale, ritenuto elementi di vertice del clan Conte-Cassano.
Torna libero, sfugge all'ennesima imboscata (avvenuta il 17 agosto 2015, quando vengono esplosi numerosi colpi d'arma da fuoco al suo indirizzo) e continua a contendersi il territorio di Bitonto, oppresso da un duo di organizzazioni criminali: da una parte il clan Conte, operativo nella zona popolare 167, dall'altra parte la cosca Cipriano attiva nel centro storico. Ed il delitto (per errore) di Anna Rosa Tarantino trae origine proprio da questa guerra.
Dal 20 aprile, Carabinieri e Polizia di Stato sono sulle tracce del presunto boss, a cui devono notificare un'ordinanza di custodia cautelare: è ritenuto infatti il mandante della tragica sparatoria del 30 dicembre scorso. Ciò emerge da Vito Antonio Tarullo, collaboratore di giustizia, che ha raccontato, ad esempio, che il presunto boss avrebbe ordinato di «sparare chiunque fosse capitato a tiro» del gruppo criminale di Francesco Colasuonno.
Dal 20 aprile è diventato il ricercato numero uno. Carabinieri e Polizia di Stato, che continuano a tenere sotto controllo l'abitazione dell'uomo in via Isonzo, sono sulle sue tracce per far finire al gabbio quello che viene considerato l'ultimo grande capo della criminalità di Bitonto.
Domenico Conte, 48 anni, conosciuto negli ambienti criminali con l'alias di "Mimm u negr", secondo l'ultima ricostruzione elaborata dalla Questura di Bari, ha iniziato ''la sua carriera criminale'' agli inizi degli anni '90, quando era appena 20enne e divenne sin da subito ragazzo di fiducia di Michele D'Elia, per tutti "Michele sei dita", affiliato alla Sacra Corona Unita con referente il più famoso boss monopolitano Giuseppe Muolo.
La morte di Michele D'Elia, avvenuta il 3 maggio 1992 dopo aver forzato un posto di blocco della Polizia di Stato, fece sì che Conte si associasse a Mario D'Elia e a Giuseppe Cassano, rispettivamente fratello e nipote di Michele D'Elia, i quali avrebbero formato un gruppo criminale che si contrappose all'ormai radicato clan vicino a Savino Parisi di Bari, all'epoca sorretto a Bitonto da Michele Bux (poi morto per omicidio) e poi da Giuseppe Valentini.
È seguito, stando all'ipotesi investigativa, un decennio in cui il clan Conte ha iniziato a radicarsi sul territorio bitontino attraverso lo spaccio al minuto di sostanze stupefacenti nella zona delle case popolari di via Togliatti e l'imposizione di tangenti a commercianti in contrapposizione al gruppo rivale dei Valentino-Semiraro per il controllo dei traffici illegali nella città di Bitonto.
Il 31 gennaio 2003, due persone, che alcuni individuarono nei pregiudicati Giuseppe Leccese e Michele Pazienza, tentano di uccidere il presunto boss, Domenico Conte. Aver mancato l'obiettivo prefissato li condanna per sempre. Li attende la cosiddetta lupara bianca, un omicidio realizzato a regola d'arte di modo che non resti alcuna traccia. Leccese scompare a luglio, Pazienza ad agosto, vittima di lupara bianca nello stesso contesto criminale.
Con l'operazione "Harvest" del 10 maggio 2004 il clan Conte viene completamente decimato, in particolare i vertici Domenico Conte, Vito Napoli e Mario D'Elia, detenuti per oltre 3 anni fino al 19 aprile 2007, quando la prima sezione del Tribunale di Bari assolve l'intero clan dalle imputazioni loro contestate, tra cui l'associazione per delinquere di stampo mafioso, le estorsioni, gli incendi ad esercizi commerciali e la detenzione illegale di armi e stupefacenti.
Solo Domenico Conte viene condannato per la sola violazione all'inosservanza della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza, scarcerato e riarrestato per la violazione del regime di sorveglianza speciale dopo essere sfuggito all'imboscata, il 27 luglio 2007, costata la vita al suo braccio destro Vito Napoli con cui si aggirava, a bordo di due scooter, quando sono stati inseguiti e raggiunti dai colpi dei sicari.
Conte, scampato all'agguato, si era rifugiato in una delle abitazioni della zona 167 ma era stato arrestato nelle ore successive perché, proprio in coincidenza con l'agguato, aveva violato gli obblighi della sorveglianza speciale ai quali era sottoposto. Il 16 ottobre 2008, poi, torna in carcere: l'uomo, che era già confinato agli arresti domiciliari, viene trasferito a Bari, dove sconterà una pena di poco superiore ai 10 mesi per aggressione e oltraggio a pubblico ufficiale.
Riacquista la libertà all'inizio del 2009, pronto a riprendersi il "suo" territorio e a riconquistare il terreno perduto, ma il 20 giugno 2009 torna dietro le sbarre con le accuse di lesioni personali aggravate e ripetute violazioni della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno. Il 12 marzo 2010 sfugge all'ennesimo agguato: era lui il vero obiettivo della sparatoria di porta Robustina. Conte viene colpito da due proiettili, ma riesce a cavarsela.
Arriviamo al 10 agosto 2010, quando la Polizia di Stato lo arresta ancora una volta per aver violato ripetutamente le prescrizioni della sorveglianza speciale a cui era sottoposto e per essere stato intercettato due volte fuori dalla propria abitazione riuscendo però a sfuggire alla cattura dopo altrettanti inseguimenti: nel primo caso venne intercettato a Terlizzi, nel secondo caso l'inseguimento iniziò a Bitonto e si concluse a Giovinazzo.
Lascia il carcere, ma il 22 marzo 2014 viene ancora una volta riconosciuto responsabile di aver violato gli obblighi della sorveglianza speciale con l'obbligo di soggiorno. In seguito alle numerose violazioni alla misura di prevenzione, la Polizia di Stato presenta un'articolata informativa di reato, in cui sono evidenziate le reiterate condotte illegali del sorvegliato speciale, ritenuto elementi di vertice del clan Conte-Cassano.
Torna libero, sfugge all'ennesima imboscata (avvenuta il 17 agosto 2015, quando vengono esplosi numerosi colpi d'arma da fuoco al suo indirizzo) e continua a contendersi il territorio di Bitonto, oppresso da un duo di organizzazioni criminali: da una parte il clan Conte, operativo nella zona popolare 167, dall'altra parte la cosca Cipriano attiva nel centro storico. Ed il delitto (per errore) di Anna Rosa Tarantino trae origine proprio da questa guerra.
Dal 20 aprile, Carabinieri e Polizia di Stato sono sulle tracce del presunto boss, a cui devono notificare un'ordinanza di custodia cautelare: è ritenuto infatti il mandante della tragica sparatoria del 30 dicembre scorso. Ciò emerge da Vito Antonio Tarullo, collaboratore di giustizia, che ha raccontato, ad esempio, che il presunto boss avrebbe ordinato di «sparare chiunque fosse capitato a tiro» del gruppo criminale di Francesco Colasuonno.
Dal 20 aprile è diventato il ricercato numero uno. Carabinieri e Polizia di Stato, che continuano a tenere sotto controllo l'abitazione dell'uomo in via Isonzo, sono sulle sue tracce per far finire al gabbio quello che viene considerato l'ultimo grande capo della criminalità di Bitonto.