La piazza di spaccio della zona 167 di Bitonto
La piazza di spaccio della zona 167 di Bitonto
Cronaca

Così le piazze di spaccio hanno invaso Bitonto: dalla 167 al "Ponte"

L'analisi, parte 1. Le aree di spaccio erano controllate dal clan Conte. Il market degli stupefacenti, con un fatturato di 30mila euro al giorno

A Bitonto le indagini della Squadra Mobile di Bari, coordinate dai pubblici ministeri antimafia Ettore Cardinali e Marco D'Agostino, hanno accertato come, nella zona 167, ed in particolar modo in via Pertini, fosse presente «uno dei più organizzati gruppi di spaccio» della regione Puglia. Era - dopo il blitz "Market Drugs" che ha portato 34 persone in carcere e 9 ai domiciliari - il gruppo criminale legato a Domenico Conte che gestiva due piazze di spaccio. Vendevano qualsiasi tipo di droga. Il supermarket degli stupefacenti, con una produzione di utili pari a 30mila euro al giorno.

«Il gruppo - si legge nelle oltre 300 pagine dell'ordinanza di custodia cautelare a firma del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, Francesco Mattiace - disponeva di edifici, con delle porte blindate (fatte montare appositamente e le cui chiavi erano a disposizione dei sodali), dei sistemi di videoripresa (per prevenire forme repressive delle forze dell'ordine o degli avversari criminali e controllare l'attività di spaccio), dei telefoni cellulari o radio (cosiddetto "punto-punto" Nokia intestati a terze persone, con numeri noti solo ai sodali e ricetrasmittenti per comunicare senza essere intercettati), dei cestini con delle corde (per prendere il denaro e calare dall'alto la droga), delle armi (per difendersi dagli attacchi degli avversari o per annientarli), dei post-it (per annotare i turni di lavoro e la contabilità dello spaccio)».

Il sodalizio operava in due zone, due territori bitontini di competenza: la zona 167 e la zona del Ponte che «erano punti di riferimento per gli acquirenti delle sostanze stupefacenti, i quali si recavano direttamente presso detti punti di spaccio. Diverse volte le forze dell'ordine, nel periodo d'interesse, sono intervenute in dette zone con arresti e sequestri di armi e droga», è scritto agli atti dell'inchiesta. A ribadirlo anche due collaboratori di giustizia, Vito Antonio Tarullo e Michele Sabba: «Sì, arrivano i tossicodipendenti a gogò, perché alla zona 167 sono assai, vengono da tutti i paesi. Sanno già dove andare, a bussare il portone e basta».

Il gruppo disponeva, inoltre, di luoghi dove occultare i grossi quantitativi di sostanza stupefacente a disposizione (cosiddette cupe) e il denaro o la sostanza già confezionata e da portare giornalmente nelle piazze di spaccio: «Gianni Palmieri, lui è quello che riforniva le due piazze. La teneva sulla casa, non della madre - secondo il racconto di Tarullo -. La marijuana Franchino "Calze Corte". Lui è quello che aveva marijuana e hashish. Quando noi facevamo i recuperi, facevamo i recuperi grossi, lui sapeva dove andare ai terreni dove noi lasciavamo... Franchino "Calze Corte", lui la caricava e se la portava, se la portava nei suoi terreni: a Palombaio».

Il gruppo disponeva anche di luoghi dove confezionare la droga, ovvero - stando alle dichiarazioni dei pentiti riportate nell'ordinanza di custodia cautelare - le abitazioni di Damiano Giordano e dei fratelli Castellaneta: «La preparazione della droga - ha detto ancora Tarullo - la facevamo sulla casa di Damiano Semeraro o sui fratelli Castellaneta». Sabba ha poi aggiunto: «L'abitazione di Castellaneta Angelo è al quinto o al terzo piano del portone accanto a quello dove hanno sparato. La casa di Semeraro è al quinto piano. In questa abitazione c'era un sistema di videosorveglianza nascosto sul terrazzo, una telecamera prendeva tutta la zona del campo da calcetto, una che riprendeva l'orto, una la strada ed una via Pertini».

Vi erano anche determinati luoghi dove portare il denaro provento dell'attività di spaccio, contare lo steso e dividere il profitto di ciascuno dei sodali di livello elevato: «l'abitazione di Rosa Natilla, ove quotidianamente venivano portate le mazzette di denaro con i post-it della contabilità dell'attività del giorno e veniva contato il denaro; il portone 167, ove ogni venerdì Conte operava la spartizione del profitto con gli adepti di livello superiore». A confermarlo le parole di Sabba: «I soldi venivano portati a Conte inizialmente da Vincenzo Caputo, mentre io ultimamente li portavo alla 167 nel portone dove spacciano lasciandoli in casa di mia zia a nome di Rosa Natilla detta "Scapezz"». Soldi provento dell'attività di spaccio.
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