Cronaca
Minacce ai familiari del pentito Casadibari: «Giuseppe ha cantato?»
È quanto emerge dall'ordinanza a carico di Benito Ruggiero e Michele Rizzo, indagati per violenza privata
Bitonto - sabato 24 marzo 2018
13.29
Minacciavano i familiari del collaboratore di giustizia Giuseppe Casadibari per bloccare le sue dichiarazioni ai magistrati. È questa l'accusa principale a carico di Benito Ruggiero, Michele Rizzo e Arcangelo Zamparino, tutti accusati di violenza privata.
Il 21enne, vero obiettivo dei sicari nell'agguato di via Le Marteri ma rimasto ferito ad una spalla, dopo qualche giorno in ospedale ha deciso di parlare, dando un contributo importante alle indagini. Per cercare di evitare il suo pentimento, alcuni affiliati hanno pensato bene di andare in giro a minacciare gli esponenti più deboli dei singoli gruppi, riservando le pressioni più forti a parenti e amici di Casadibari, molti dei quali già spariti da Bitonto.
«Il prolungato ricovero del giovane ferito - si legge nell'ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice Giovanni Anglana - e l'improvviso allontanamento dalle loro abitazioni nel centro storico di Bitonto dei suoi familiari innescavano la reazione dei vertici del sodalizio di appartenenza dello stesso Casadibari, quello dei Cipriano, nel timore che il ragazzo ferito stesse collaborando con gli inquirenti».
A Benito Ruggiero, Michele Rizzo e Arcangelo Zamparino, infatti, sono anche contestati i «gravi episodi di minacce ed intimidazioni dagli stessi poste in essere in pregiudizio di taluni congiunti e familiari del predetto Casadibari, - è scritto nel comunicato stampa redatto dagli inquirenti - al fine di impedire la collaborazione con la giustizia da parte del loro ex sodale rimasto ferito il 30 dicembre 2017».
I tre, infatti, (i primi due arrestati, il terzo solo indagato) sono accusati di violenza privata «perché tentavano di costringere un parente del giovane ferito a rivelare il luogo - in realtà noto solo al Servizio di Protezione Centrale – in cui il pentito e i famigliari più stretti si erano rifugiati, chiedendo con insistenza se Giuseppe avesse cantato».
«Hai visto che lo hanno saputo già questi?» si lamenta un parente di Casadibari parlando con sua moglie, senza sapere di essere intercettato, dopo una visita sgradita. Sì, perché c'era chi «passava alla guida di un ciclomotore sotto il balcone dell'abitazione» di un famigliare di Casadibari e «mimava con la mano il gesto di sparare con una pistola, indirizzandolo a quest'ultimo che era affacciato al balcone».
Il giudice per le indagini preliminari, sostenendo che le minacce fossero aggravate dal metodo mafioso, sottolinea la «particolare coartazione psicologica e lo stato di assoggettamento». In questa direzione va anche ciò che accadde nell'abitazione del neo-pentito Casadibari, nel borgo antico di Bitonto, messa a soqquadro da ignoti, «una vera devastazione».
Del resto, temendo la collaborazione di Casadibari, c'era chi avrebbe esercitato pressioni minacciando i familiari del nuovo collaboratore di giustizia. Anche le testimonianze hanno consentito a Polizia e Carabinieri di comporre il puzzle.
Il 21enne, vero obiettivo dei sicari nell'agguato di via Le Marteri ma rimasto ferito ad una spalla, dopo qualche giorno in ospedale ha deciso di parlare, dando un contributo importante alle indagini. Per cercare di evitare il suo pentimento, alcuni affiliati hanno pensato bene di andare in giro a minacciare gli esponenti più deboli dei singoli gruppi, riservando le pressioni più forti a parenti e amici di Casadibari, molti dei quali già spariti da Bitonto.
«Il prolungato ricovero del giovane ferito - si legge nell'ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice Giovanni Anglana - e l'improvviso allontanamento dalle loro abitazioni nel centro storico di Bitonto dei suoi familiari innescavano la reazione dei vertici del sodalizio di appartenenza dello stesso Casadibari, quello dei Cipriano, nel timore che il ragazzo ferito stesse collaborando con gli inquirenti».
A Benito Ruggiero, Michele Rizzo e Arcangelo Zamparino, infatti, sono anche contestati i «gravi episodi di minacce ed intimidazioni dagli stessi poste in essere in pregiudizio di taluni congiunti e familiari del predetto Casadibari, - è scritto nel comunicato stampa redatto dagli inquirenti - al fine di impedire la collaborazione con la giustizia da parte del loro ex sodale rimasto ferito il 30 dicembre 2017».
I tre, infatti, (i primi due arrestati, il terzo solo indagato) sono accusati di violenza privata «perché tentavano di costringere un parente del giovane ferito a rivelare il luogo - in realtà noto solo al Servizio di Protezione Centrale – in cui il pentito e i famigliari più stretti si erano rifugiati, chiedendo con insistenza se Giuseppe avesse cantato».
«Hai visto che lo hanno saputo già questi?» si lamenta un parente di Casadibari parlando con sua moglie, senza sapere di essere intercettato, dopo una visita sgradita. Sì, perché c'era chi «passava alla guida di un ciclomotore sotto il balcone dell'abitazione» di un famigliare di Casadibari e «mimava con la mano il gesto di sparare con una pistola, indirizzandolo a quest'ultimo che era affacciato al balcone».
Il giudice per le indagini preliminari, sostenendo che le minacce fossero aggravate dal metodo mafioso, sottolinea la «particolare coartazione psicologica e lo stato di assoggettamento». In questa direzione va anche ciò che accadde nell'abitazione del neo-pentito Casadibari, nel borgo antico di Bitonto, messa a soqquadro da ignoti, «una vera devastazione».
Del resto, temendo la collaborazione di Casadibari, c'era chi avrebbe esercitato pressioni minacciando i familiari del nuovo collaboratore di giustizia. Anche le testimonianze hanno consentito a Polizia e Carabinieri di comporre il puzzle.