Cronaca
Omicidio Tarantino: «A Bitonto i residenti ripulivano le scene dei crimini»
Il gup Agnino: «Scotch sui fori dei proiettili, bossoli nascosti e totale omertà»
Bitonto - domenica 27 ottobre 2019
9.38
Un clima di omertà talmente diffuso che i residenti del quartiere arrivavano a coprire le tracce delle sparatorie, nascondendo i fori dei proiettili sulle facciate delle loro abitazioni con uno scotch dello stesso colore della parete.
È solo uno dei dettagli emersi dopo la deposizione delle motivazioni della sentenza con cui ad aprile scorso sono state condannate 9 persone, fra i quali il boss Mimmo Conte, ritenute responsabili, a vario titolo, dei fenomeni criminosi che il 30 dicembre del 2017 portarono a Bitonto alla morte di Anna Rosa Tarantino, l'ignara 87enne rimasta uccisa in una sparatoria fra bande a Porta Robustina.
Il giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Bari, Francesco Agnino parla di «clima di terrore», «intimidazione e omertà diffusa tra la popolazione» anche con riferimento «alla totale mancanza della benché minima collaborazione da parte di qualsivoglia testimone, malgrado fosse stata uccisa un'ignara passante, peraltro abitante del quartiere e conosciuta dagli altri residenti».
Secondo il giudice in quel periodo c'era un vero e proprio «clima da lunghi coltelli» che «esplose in tutta la sua purulenta e necrotica forza la mattina la 30 dicembre» quando «la cieca violenza aveva ormai obnubilato le menti deviate degli appartenenti» ai due gruppi gruppi criminali che aspettavano solo «un pretesto, anche banale, per esplodere».
Un pretesto che fu poi l'aggressione a un rivale del clan Conte la sera prima, che si trasformò in un'incredibile di violenza culminata nell'ordine - arrivato dal boss in persona ai due esecutori materiali, Michele Sabba e Rocco Papaleo, condannati a 14 anni e poi diventati collaboratori di giustizia – con il quale «pur senza aver individuato preventivamente una vittima specifica» veniva comandato di «uccidere uno qualsiasi del gruppo Cipriano che spacciava droga nel territorio di competenza del clan al fine di riaffermarne la supremazia».
D'altronde si trattava solo dell'episodio finale di una serie di episodi che avevano alimentato «le fibrillazioni tra i due agguerriti gruppi criminali facenti capo a Domenico Conte e Francesco Colasuonno del clan Cipriano per il controllo delle piazze di spaccio», poi esplose «in una serie di attentati armati tra i contrapposti gruppi i cui componenti in orario mattutino, incuranti della incolumità di inermi cittadini, scorrevano le pubbliche vie armati, sparando all'impazzata contro le rispettive roccaforti».
«E proprio in questo crescendo rossiniano, di inaudita e belluina violenza e sopraffazione – si legge ancora nelle motivazioni del gup – era attinta mortalmente la povera Anna Rosa Tarantino, che casualmente si trovava a passeggiare in strada, nel momento in cui era in atto uno di questi feroci raid armati».
È solo uno dei dettagli emersi dopo la deposizione delle motivazioni della sentenza con cui ad aprile scorso sono state condannate 9 persone, fra i quali il boss Mimmo Conte, ritenute responsabili, a vario titolo, dei fenomeni criminosi che il 30 dicembre del 2017 portarono a Bitonto alla morte di Anna Rosa Tarantino, l'ignara 87enne rimasta uccisa in una sparatoria fra bande a Porta Robustina.
Il giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Bari, Francesco Agnino parla di «clima di terrore», «intimidazione e omertà diffusa tra la popolazione» anche con riferimento «alla totale mancanza della benché minima collaborazione da parte di qualsivoglia testimone, malgrado fosse stata uccisa un'ignara passante, peraltro abitante del quartiere e conosciuta dagli altri residenti».
Secondo il giudice in quel periodo c'era un vero e proprio «clima da lunghi coltelli» che «esplose in tutta la sua purulenta e necrotica forza la mattina la 30 dicembre» quando «la cieca violenza aveva ormai obnubilato le menti deviate degli appartenenti» ai due gruppi gruppi criminali che aspettavano solo «un pretesto, anche banale, per esplodere».
Un pretesto che fu poi l'aggressione a un rivale del clan Conte la sera prima, che si trasformò in un'incredibile di violenza culminata nell'ordine - arrivato dal boss in persona ai due esecutori materiali, Michele Sabba e Rocco Papaleo, condannati a 14 anni e poi diventati collaboratori di giustizia – con il quale «pur senza aver individuato preventivamente una vittima specifica» veniva comandato di «uccidere uno qualsiasi del gruppo Cipriano che spacciava droga nel territorio di competenza del clan al fine di riaffermarne la supremazia».
D'altronde si trattava solo dell'episodio finale di una serie di episodi che avevano alimentato «le fibrillazioni tra i due agguerriti gruppi criminali facenti capo a Domenico Conte e Francesco Colasuonno del clan Cipriano per il controllo delle piazze di spaccio», poi esplose «in una serie di attentati armati tra i contrapposti gruppi i cui componenti in orario mattutino, incuranti della incolumità di inermi cittadini, scorrevano le pubbliche vie armati, sparando all'impazzata contro le rispettive roccaforti».
«E proprio in questo crescendo rossiniano, di inaudita e belluina violenza e sopraffazione – si legge ancora nelle motivazioni del gup – era attinta mortalmente la povera Anna Rosa Tarantino, che casualmente si trovava a passeggiare in strada, nel momento in cui era in atto uno di questi feroci raid armati».