La piazza di spaccio della zona 167 di Bitonto
La piazza di spaccio della zona 167 di Bitonto
Cronaca

Un pentito: «Mi sono avvicinato al clan a 17 anni, avevo bisogno di soldi»

I collaboratori alla base dell'operazione "Market Drugs", la testimonianza di Caldarola: «Gli altri venivano pagati bene»

«Bitonto come Scampia». Una frase raggelante pronunciata in conferenza stampa da Francesco Messina, direttore centrale Anticrimine della Polizia di Stato, rischia di diventare un marchio indelebile sul cuore di una città che, nonostante gli sforzi della società civile, ha sempre occupato un ruolo di primissimo piano nella geopolitica malavitosa nazionale.

Sì, perché a Bitonto, città in cui a sei giorni dal Natale del 1991, la criminalità organizzata non esitò a sfidare lo Stato con un ordigno piazzato e fatto esplodere ai piedi del Commissariato di P.S., le indagini della Squadra Mobile di Bari, coordinate dai pubblici ministeri antimafia Ettore Cardinali e Marco D'Agostino, hanno accertato come, nella zona 167, ed in particolar modo in via Pertini, fosse presente «uno dei più organizzati gruppi di spaccio» della Puglia.

Era - dopo il blitz "Market Drugs" che ha portato 34 persone in carcere e 9 ai domiciliari - il gruppo criminale legato al boss Domenico Conte: «Le sue direttive - scrive il giudice per le indagini preliminari Francesco Mattiace nelle oltre 300 pagine dell'ordinanza di custodia cautelare - sono perentorie e insindacabili e nessuno deve discostarsene».

Quella di «Mimmo U' Negr», era «un'azienda, una ditta» stando alle parole di un collaboratore di giustizia, Vito Antonio Tarullo. «A chi entra a far parte di questa organizzazione - si legge -, Conte offre una possibilità di carriera", man mano che la sua fiducia aumenta». Si inizia con la mansione di "palo" (da 300 a 500 euro a settimana) sino a quella di responsabile delle varie piazze di spaccio (1.500 euro ogni venerdì con un bonus mensile fino a 5.000 euro).

Quella più importante si trova nella zona 167 dove Conte, secondo le indagini, comprende che quei grandi spazi non sono angusti vicoli dove la Polizia di Stato e i Carabinieri (la Stazione, fra l'altro, si trova in via generale Planelli, proprio a due passi) possono, con facili blitz, arrestare tutti. Comprende che quei palazzi, se monitorati da vedette e impianti di videosorveglianza, possono diventare suoi presìdi, comprende che può contare su una manodopera affamata e disposta a lavorare per pochissimi euro.

«Mi sono avvicinato al clan quando avevo 16/17 anni - ha detto un altro collaboratore, Luca Caldarola -, avevo necessità di denaro, sono venuto a conoscenza da Michele e Paolo che venivano pagati bene, chiesi di entrare a far parte del gruppo. All'inizio ho incominciato a stare con Paolo a fare il palo e lui mi ripagava con delle dosi di erba e fumo». Conte, quindi, prima trasforma la zona 167 in un grande market della droga.

Poi lancia il suo guanto di sfida al clan Cipriano e si espande nel centro storico in un quadrilatero di strade conosciuto come il "Ponte" che va da via Germano sino a corte de Tauris, passando da via Sant'Andrea per chiudersi in piazza Fortinguerra: l'inaugurazione della nuova piazza, a settembre 2017, fu salutata dai fuochi d'artificio, ma lo scontro armato fra i due gruppi lasciò sul campo una vittima innocente di mafia, Anna Rosa Tarantino.

«Quando si è aperta questa piazza - ha detto ancora Tarullo - Conte che ha il cervello… che ha fatto? È venuto a spezzare le gambe a tutti. Ha visto lì sotto, al paese vecchio, diciamo la 10 euro a quanto la fanno? Un grammo? Lui l'ha fatto un grammo e mezzo».

Conte comprende che la vendita di droga di ogni tipo, inclusa la pericolosissima amnèsia, «la droga della camorra che ti brucia il cervello», un mix letale di marijuana di pessima qualità, trattata con metadone, eroina, solventi e addirittura acidi delle batterie delle auto, è diventata il suo punto di forza di un'area che comprende due piazze di spaccio, fra manodopera ben retribuita e facile controllo della cinta urbana.

Sono gli anni - dal 2013 - dell'hashish, della marijuana e della cocaina e Bitonto comincia a importarne a tonnellate da importanti grossisti dei quartieri Madonella e Japigia di Bari e Terlizzi. Da allora il regno di Conte per anni e anni si organizzerà sfruttando il territorio. Sentinelle, pali, vedette, depositi. Tutto attorno ai palazzoni della 167 che diventerà il mercato della droga più florido della zona. Un'area di degrado si combina con un fatturato di 30mila euro al giorno.

«Quando si sentiva "Rocky! Rocky! Rocky!", era un fuggifuggi e i tossicodipendenti noi ce li portavamo anche tutti sui terrazzi». I clienti che perdevano la droga, invece, la riottenevano. Era un modo per fidelizzarli: «Conte lasciava detto che ci perdeva la droga, che veniva preso dalla Polizia o da… "Dovete darla senza soldi. Che cosa gli avete dato, un venti?", per dire, "gli hanno trovato? Glielo dovete dare indietro"».

Una vera e propria organizzazione aziendale con un welfare di supporto sgominato non solo grazie alle confessioni di 8 collaboratori di giustizia, ma anche all'incisiva azione dei mass media e dell'opinione pubblica.

Domani, intanto, proseguiranno gli interrogatori di garanzia in videoconferenza a carico degli indagati. Accendere la luce, dopo anni di narcotraffico, armi e morti ammazzati, ha significato iniziare a comprendere gli elementi del disastro che hanno portato Bitonto sullo stesso piano di Scampia.
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