Cronaca
«Una pax per la droga tra i Di Cosola e i Diomede»
Si è pensato agli affari. Ma l'accordo mafioso è stato stroncato dai Carabinieri
Bitonto - mercoledì 1 novembre 2017
13.04
Sono legati ai clan baresi dei Di Cosola e dei Diomede, i destinatari delle 17 ordinanze di custodia cautelare eseguite ieri mattina dai Carabinieri fra i territori comunali di Trani, Molfetta, Bitonto e Giovinazzo. Accusati a vario titolo per traffico di stupefacenti, tentato omicidio e minaccia aggravata.
«I Pappagallo, ad esempio, - ha spiegato il capitano Vito Ingrosso durante la conferenza stampa di ieri - sono legati al clan Di Cosola di Bari». La famiglia barese, originaria del quartiere San Girolamo del capoluogo e vicina al clan Lorusso, gruppo criminale in violenta contrapposizione al clan Campanale, «s'è insediata alcuni mesi fa a nord di Bari, dapprima a Giovinazzo e poi a Molfetta. E proprio in quei due comuni la situazione è iniziata a mutare moltissimo».
«La famiglia Pappagallo - ha detto ancora Ingrosso -, composta da Saverio Pappagallo, Laura Zaccaria e Giuseppe Pappagallo ha iniziato a creare una fitta rete di legami con i pusher del luogo e con Michele Arciuli, facendo sempre riferimento ai Di Cosola. Poi, spostandosi a Molfetta, ha intrecciato i propri affari con altri pusher presenti in zona, ma legati al clan Diomede e quindi alla famiglia De Bari, storicamente presente sul territorio».
Secondo quanto emerso dalle indagini, entrambe le famiglie (i Pappagallo da un lato e i De Bari dall'altro) avrebbero optato per una sorta di pax mafiosa con l'obiettivo di spartirsi gli interessi economici: «Attraverso le frequentazioni e le permanenze in carcere - ha proseguito Ingrosso - le due famiglie sono riuscite a lavorare senza pestarsi i piedi, attraverso una sorta di suddivisione del territorio con lo scopo di non creare problemi a nessuno».
Ma la pax mafiosa è stata stroncata dall'instancabile lavoro dei militari dell'Aliquota Operativa diretta dal luogotenente Sergio Tedeschi. I militari, infatti, nel corso dell'indagine hanno sequestrato nel 2015 a Giuseppe Pappagallo una pistola giocattolo, modificata, e dunque abile a far fuoco, e nel 2014, invece, a carico di Gianfranco Del Rosso addirittura un fucile mitragliatore kalashnikov privo di matricola, entrambi nelle disponibilità del clan.
«Ringrazio i miei uomini per l'impegno che hanno profuso nel corso dell'attività, arrestando e denunciando decine di persone», il messaggio di riconoscenza del capitano Ingrosso agli uomini del Nucleo Operativo, uomini low profile capaci di "intercettare" e ricollocare come in un puzzle l'intera indagine. Uomini semplici, ma allo stesso tempo eroi che vivono in silenzio, riferimento per infondere sicurezza ai cittadini, che adempiono il proprio dovere in modo anonimo.
Uomini coraggiosi, che hanno lavorato in silenzio per ben due anni, col massimo sforzo, con tanta umiltà, tanto amore e tanta abnegazione. Uomini da ammirare, perché anche se dovesse crollare tutto, la gente della Compagnia di Molfetta sa che loro ci saranno sempre, immancabilmente qui, presenti.
«I Pappagallo, ad esempio, - ha spiegato il capitano Vito Ingrosso durante la conferenza stampa di ieri - sono legati al clan Di Cosola di Bari». La famiglia barese, originaria del quartiere San Girolamo del capoluogo e vicina al clan Lorusso, gruppo criminale in violenta contrapposizione al clan Campanale, «s'è insediata alcuni mesi fa a nord di Bari, dapprima a Giovinazzo e poi a Molfetta. E proprio in quei due comuni la situazione è iniziata a mutare moltissimo».
«La famiglia Pappagallo - ha detto ancora Ingrosso -, composta da Saverio Pappagallo, Laura Zaccaria e Giuseppe Pappagallo ha iniziato a creare una fitta rete di legami con i pusher del luogo e con Michele Arciuli, facendo sempre riferimento ai Di Cosola. Poi, spostandosi a Molfetta, ha intrecciato i propri affari con altri pusher presenti in zona, ma legati al clan Diomede e quindi alla famiglia De Bari, storicamente presente sul territorio».
Secondo quanto emerso dalle indagini, entrambe le famiglie (i Pappagallo da un lato e i De Bari dall'altro) avrebbero optato per una sorta di pax mafiosa con l'obiettivo di spartirsi gli interessi economici: «Attraverso le frequentazioni e le permanenze in carcere - ha proseguito Ingrosso - le due famiglie sono riuscite a lavorare senza pestarsi i piedi, attraverso una sorta di suddivisione del territorio con lo scopo di non creare problemi a nessuno».
Ma la pax mafiosa è stata stroncata dall'instancabile lavoro dei militari dell'Aliquota Operativa diretta dal luogotenente Sergio Tedeschi. I militari, infatti, nel corso dell'indagine hanno sequestrato nel 2015 a Giuseppe Pappagallo una pistola giocattolo, modificata, e dunque abile a far fuoco, e nel 2014, invece, a carico di Gianfranco Del Rosso addirittura un fucile mitragliatore kalashnikov privo di matricola, entrambi nelle disponibilità del clan.
«Ringrazio i miei uomini per l'impegno che hanno profuso nel corso dell'attività, arrestando e denunciando decine di persone», il messaggio di riconoscenza del capitano Ingrosso agli uomini del Nucleo Operativo, uomini low profile capaci di "intercettare" e ricollocare come in un puzzle l'intera indagine. Uomini semplici, ma allo stesso tempo eroi che vivono in silenzio, riferimento per infondere sicurezza ai cittadini, che adempiono il proprio dovere in modo anonimo.
Uomini coraggiosi, che hanno lavorato in silenzio per ben due anni, col massimo sforzo, con tanta umiltà, tanto amore e tanta abnegazione. Uomini da ammirare, perché anche se dovesse crollare tutto, la gente della Compagnia di Molfetta sa che loro ci saranno sempre, immancabilmente qui, presenti.